Pantani-Surace | La meraviglia TALKS
È affascinante seguire il percorso attraverso il quale si snoda il processo di creazione di Pantani-Surace. Il talk in dialogo con Sergio Risaliti, curatore di molte delle loro mostre, ne restituisce uno schizzo. Molti dei loro lavori partono infatti da uno stimolo che disinnesca un ampio immaginario e repertorio di associazioni, sempre con lo stesso tratto di ingegnosità che gli artisti impiegano nel raggiungere l’obiettivo di volta in volta prefissato. “Ci piace metterci nei guai e non uscirne”.
Duo artistico dal 1995, Lia Pantani e Giovanni Surace usano linguaggi differenti e riescono a plasmarli secondo la visione che hanno dell’ambiente nel quale si trovano ad agire. Spesso anzi le loro opere si caratterizzano per la durata del periodo di studio e realizzazione, in contrasto con la brevità del tempo della loro fruizione. L’installazione Voglio sentire il rumore di tutte le cose è un chiaro esempio di questo aspetto. Un lampadario di stile classico con gocce di ghiaccio a forma di cristallo, che quindi incorpora due elementi opposti: l’acqua e l’elettricità. Il lampadario si scioglie lentamente, e il movimento e il rumore di ogni goccia si ripercuotono nei diversi luoghi, delle felci, l’argilla, la coperta di un letto, nei quali Pantani-Surace hanno rimodulato l’opera (2003, Ex Meccanotessile, Firenze; 2007, Nosadelladue, Bologna, Orto Botanico, Parma, Castello Svevo, Trani, Galleria Madder, Londra). La precipitazione lenta e verticale dell’acqua segna il passaggio del tempo, mentre la formazione orizzontale della pozzanghera si fa riflesso della memoria, il tutto scandito dai ritmi della vita organica.
Se qui il movimento va dall’alto verso il basso, in Tieni fermi gli occhi (1999) lo sguardo è rivolto verso il cielo. “Siamo stati invitati, insieme ad altri artisti, a realizzare un’opera che si collocasse all’esterno per questa mostra che si intitolava In giardino. Noi ovviamente abbiamo obbedito”. Di qui un intervento in interno, nel salone dell’abitazione, ma con un elemento che tuttavia relaziona il dentro e il fuori. Pantani-Surace dipingono il soffitto di cobalto cloruro, un materiale che cambia il colore in base all’umidità, da azzurro a rosa. Una pittura che richiama Pontormo e che allo stesso tempo “si fa da sola”.
L’umidità nella forma dell’acqua è ancora protagonista in Ti amo (2005), questo muro in cartongesso supportato da un sistema di tubi che bagnando la superficie fa emergere la scritta. Lo spettatore è chiamato ad avere una relazione fisica con il lavoro e a prendersene cura dandogli da bere. Il gesto dell’altro permette così all’opera di vivere, ma diventa anche la causa del suo ammuffimento e deterioramento. La semplicità formale dei lavori di Pantani-Surace trova la sua controparte nell’estensione delle questioni che li sottendono. Si parla di autorialità, impermanenza, intenzione, caso. Di qui le impronte lasciate sul retro del vetro in Who’s next, dovrebbe piovere su di voi e non su di me, (2012), o anche le bolle provocate dalla pellicola incollata male sullo specchio (1996/2008): entrambi i lavori si muovono all’interno di una dimensione controllata dell’errore.
D’altronde il pubblico si trova in ruoli diversi rispetto al lavoro di Pantani-Surace e questo è un riflesso di una pratica artistica fortemente poliedrica, che tiene sempre conto della natura dei materiali e della loro percezione. Passa da subire una trasformazione (The helium house, 1998) ad annusare aromi finissimi (23 giugno 176, 2001) fino a distruggere l’opera stessa. In Non spiegatemi perché la pioggia si trasforma in grandine, 2002/2004, lo spettatore cammina sopra questi fogli di ceramica fini e colorati come dei coriandoli, li frammenta, polverizzandoli.
Pantani-Surace concludono il talk con il lavoro che hanno realizzato per la loro prima mostra, nel 1995: I soffiatori di virgole. Si trattava di palloncini dipinti con il motivo mimetico delle divise militari. “Un gruppo di americani si arrabbiò tantissimo: il palloncino per loro non c’entrava nulla con la guerra”. L’opera è stata riproposta quest’anno per la residenza BoCs Art a Cosenza a cura di Giacinto Di Pietrantonio.