Many Possible Cities, first edition
un laboratorio sulle città e sul loro futuro, per esplorare percorsi e strumenti di trasformazione insieme a pionieri internazionali che hanno già raccolto questa sfida
Vedi il programma completo
Sempre più grandi, sempre più affollate, dispersive e caotiche. Le nostre città stanno cambiando ad una velocità di cui è difficile tenere il passo. Ma verso quale direzione?
Uno sviluppo dicotomico è quello che prospetta Lorenzo Giorgi, Executive Director di Bloom Project: città vs periferia, metropoli vs ruralità, crescita esponenziale delle città vs impoverimento delle periferie.
«La città dei ricchi chiusi nei loro gated villages, la città dei poverissimi chiusi nei loro slums, la città degli affari, la città dei turisti, che diventa una specie di parco a tema», è invece la frammentazione in monoculture che si immagina Ezio Manzini, fondatore di DESIS, un network internazionale sul design per l’innovazione sociale e la sostenibilità, Honorary Professor al Politecnico di Milano e Chair Professor alla University of the Arts London.
E allora da dove ripartire?
Dalle persone, i talenti, i creativi, i giovani brillanti ma soprattutto i cittadini, le comunità locali e dai luoghi, piattaforme in grado di raccoglierli e farli discutere, per immaginare insieme un futuro diverso per la città, o meglio tante città possibili.
Many Possible Cities è l’iniziativa promossa da Manifattura Tabacchi che chiama all’appello esperti, visionari, pionieri della trasformazione urbana e li fa sedere allo stesso tavolo di chi questa trasformazione vuole viverla e ne vuole essere protagonista.
Una serie di eventi e giornate in cui al dialogo con l’innovazione si aggiunge l’esperienza diretta di urban farm, grazie alla visita delle arnie sul tetto della Manifattura.
Many Possible Cities è anche un laboratorio, anzi tanti laboratori, per capire come si costruisce una città più aperta, inclusiva e sostenibile.
Le città sono create da noi, con il nostro modo di viverle e di stare insieme. Spesso le usiamo senza prestare attenzione a tutte le persone e gli oggetti che incrociamo nella nostra routine fino a non vederli più. E se fossero proprio loro, gli oggetti che non vediamo più a voler instaurare un nuovo dialogo con noi? Se fosse l’attraversamento dell’incrocio a offrirci l’occasione per un sorriso, per giocare con il semaforo e i compagni di attesa? Se il lampione potesse renderci il ricordo di chi è passato sotto, con una giravolta o con la bicicletta proiettata sull’asfalto?
Sono installazioni che Playable City ha realizzato in città come Recife, Bristol, Lagos e Tokyo. Attraverso il gioco, questi progetti guidano le persone a riappropriarsi degli spazi, della città e dei rapporti fra cittadini. La visione riassunta dal The Guardian in Cities that play together stay together, sta alla base di Creative Producers International (CPI), un collettivo che si propone di riunire creativi, cittadini e politici in un confronto continuo sulle opportunità di cambiamento e rigenerazione della città.
Karishma Rafferty è una dei quindici Creative Producers che CPI ha selezionato per promuovere la sua attività in tutto il mondo, ed è venuta a Manifattura Tabacchi con il workshop Sì, ma… idee per il cambiamento della città. Un brainstorming ispirato dal famoso Six Thinking Hats di Edward de Bono in cui i partecipanti condividono un metodo per scandagliare le infinite possibilità di cambiare Firenze, cercando di adottare diversi punti di vista. Il workshop ha rappresentato l’occasione per conoscere meglio l’attività che Karishma sta svolgendo come curatrice alla Somerset House di Londra. Costruita come edificio governativo nel 1800, è stato riconvertito ad altri usi innumerevoli volte: ha ospitato organizzazioni come l’ufficio delle imposte, la marina e molte Royal Societies, come ad esempio la Royal School of Design. All’inizio del 2000 è stato affidato ad un trust che l’ha trasformato in un centro d’arte, con lo scopo di promuovere la galleria come bene collettivo. Karishma ha elaborato, in questa sede, una programmazione culturale di ampio spettro, che ha incluso festival, installazioni ed eventi, coinvolgendo le oltre 2500 persone che lavorano in questa industria creativa: un “melting pot” per gli artisti, ma anche per i cittadini e il pubblico che vive in città.
Nella creatività Karishma identifica la chiave per il nostro futuro, una creatività che va coltivata e nutrita, al fine di disegnare la città del futuro, più innovativa, condivisa, inclusiva.
Il confronto su questo tema è a livello internazionale. Karishma confida in quello che possiamo imparare da altre città che si stanno sviluppando molto velocemente e con diversi stili di vita, che sono in linea con il cambiamento climatico, uno dei temi a lei più cari.
Per Karishma, Manifattura Tabacchi è «un luogo in grado di ospitare conversazioni e far confrontare cittadini, artisti, creativi, ma anche politici e decision makers», una realtà nuova capace di promuovere il cambiamento e di prototipare nuovi modi di vivere insieme.
Guarda il video
Viviamo in un’epoca di urbanizzazione e le città hanno il potere di superare alcune delle principali sfide che abbiamo in termini di uso dell’energia, sostenibilità, mitigazione del clima.
Per Jorick Beijer, Executive Director di The Class of 2020, è il talento la soluzione a questi problemi: «abbiamo bisogno di persone brillanti, che propongano nuove idee, nuovi stili di vita in grado di superare queste grandi sfide». Le città sono in competizione tra loro per attrarre questi talenti, ma la vera sfida è riuscire a trattenerli.
Il workshop Florence: towards a Learning City, si propone di trovare soluzioni innovative per arginare l’emorragia di talenti, identificando strategie per attrarre, coltivare e far rimanere le menti giovani più brillanti. Proprio questa è la missione di The Class of 2020, un think-tank paneuropeo che riunisce enti di istruzione superiore, gruppi immobiliari e policy makers, con l’obiettivo di generare progetti di sviluppo incentrati sulla vita degli studenti, le opportunità di apprendimento e la rigenerazione urbana.
La città turistica si desertifica e il carovita allontana non solo i residenti ma anche i futuri generatori di innovazione: i creativi. Jorick Beijer ha le idee chiare, il pericolo sottolineato da Ezio Manzini e da Karishma Rafferty, sulla scorta delle esperienze rispettivamente di Barcellona e Londra, riguarda anche Firenze.
Quella del mordi e fuggi non è una tendenza meramente turistica, ma riguarda anche il capitale umano di milioni di studenti stranieri che viene disperso per mancanza di politiche lungimiranti. L’andirivieni di creativi è un carattere strutturale di una città come Firenze, «crocevia di talenti fin dal Medioevo». Per la nostra città è importante ripartire oggi da quel capitale umano. Su questo tema è necessario un confronto tra le università straniere e le istituzioni culturali cittadine.
Manifattura Tabacchi si inserisce in questo scenario come uno dei luoghi chiave per connettere e mettere a frutto queste risorse. Jorick si dice «super-entusiasta» di questo progetto che definisce «un’opportunità per ripensare la geografia del talento a Firenze».
Ai suoi occhi, Manifattura Tabacchi, rappresenta un luogo ibrido in cui il lavoro e l’apprendimento possono essere i veri motori per la rigenerazione urbana, uno degli esempi più avvincenti a livello europeo di quello che lui stesso chiama “Urban Campus”.
Guarda il video
Ognuno di noi si muove nel proprio mondo, personale e lavorativo. La città dovrebbe essere qualcosa di più della somma di questi universi individuali, dovrebbe essere in grado di sostenere e favorire le interconnessioni fra questi, creando un ecosistema.
Come rendere più efficienti questi scambi? Come coinvolgere le persone e raggiungere gruppi diversi di utenti?
In Exploring Principles of Platform Design, uno degli workshop tenuti durante Many Possible Cities, Luca Ruggeri discute il ruolo della città come piattaforma.
La sua esperienza come consulente di innovazione e trasformazione digitale per le aziende che vogliono sviluppare strategie “a prova di futuro”, viene messa a disposizione per individuare quali tipi di servizi, canali e contesti rendono una piattaforma efficace nello stimolare effetti moltiplicatori.
Il Platform Design è uno strumento che serve a questo proposito.
Luca guida il laboratorio alla scoperta del suo approccio innovativo attraverso 7 principi chiave: una sorta di cassetta degli attrezzi da portarsi dietro nella propria attività professionale. Alcuni di questi sembrano promemoria, piccoli accorgimenti che si rivelano strategici in un’ottica competitiva: «l’innovazione cresce ai margini»; «un singolo lavoratore può trasformare il futuro dell’azienda».
Luca pone al centro del dialogo con i partecipanti un rischio che affrontano le imprese oggi, la tendenza verso una eccessiva customizzazione del prodotto e la personalizzazione del servizio. Per non perdere di vista l’interesse dell’azienda, l’approccio da lui suggerito consiste nel permettere al fruitore di adattare il servizio in maniera indipendente o attraverso il dialogo con un altro fruitore. Affinché ciò avvenga, il ruolo dell’organizzazione che gestisce la piattaforma dovrebbe essere proprio questo, quello di un arbitro silenzioso ma presente.
Per tenere il passo con un mondo in continua – e soprattutto rapida – evoluzione, la parola d’ordine è aggiornamento, individuale e di gruppo. La competizione e la collaborazione devono fungere da stimoli, opposti e complementari, per un apprendimento continuo. Stabilire regole “infrangibili” è un altro accorgimento che fa spazio all’innovazione. Se è vero che la novità cresce vicino ai bordi, l’innovatore è un disobbediente. Fare impresa vuol dire anche imparare da chi stravolge le regole, o meglio da chi opera al margine di esse.
«Per crescere ci vogliono meno “io” e più “noi”», afferma Luca alla conclusione del workshop parlando di una identità allargata all’ecosistema, che consente di guadagnare di più rinunciando ad un po’ di egocentrismo. Questo principio sintetizza la visione che Luca ha della piattaforma e vale per l’organizzazione come per la città. In questa ottica il ruolo della Manifattura Tabacchi è proprio quello di piattaforma, che riesce a «coinvolgere sempre più persone tirandole a bordo delle iniziative. Cosa altro può aiutare le nostre città se non rendere possibile l’aggregazione e l’innovazione culturale?».
Guarda il video
Avere un approccio sistemico significa imparare a pensare in termini di interrelazioni, contesti e processi. Metterlo in pratica nell’innovazione sociale e nello sviluppo sostenibile significa instaurare un dialogo permanente fra i poli opposti di questo processo: il nord e il sud del mondo, la metropoli e la periferia. Questo è quello di cui si occupa Lorenzo Giorgi.
Con il Workshop Systemic Impact for All Lorenzo porta alla Manifattura Tabacchi l’esperienza maturata attraverso le collaborazioni con la ONG internazionale “Liter of Light”, fino alla fondazione di BLOOM Project, una ONG con base a Prato che sviluppa tecnologie innovative per l’agricoltura sostenibile nel Sud del Mondo, favorendo allo stesso tempo l’inserimento lavorativo dei disabili in questo campo. Bloom Project nasce con l’obiettivo di riuscire ad associare ricerca scientifica, sostenibilità e scalabilità delle innovazioni con l’impatto sistemico ed economico, e lo fa grazie alle collaborazioni attivate con l’Università di Padova ed il Politecnico di Torino.
Le innumerevoli innovazioni agricole che caratterizzano il mercato occidentale, dalle grandi strutture high-tech del nord europa alla serra ikea per l’idroponica da hobby, hanno delle barriere enormi di entrata nel sud del mondo. Come questa tecnologia può affacciarsi in questi territori e innovare il settore agricolo? Come le persone con disabilità possono inserirsi nella catena del lavoro?
Per rispondere a queste domande, al tavolo di discussione in Manifattura Tabacchi Lorenzo porta il progetto AGRITUBE, un sistema di coltivazione idroponica scalabile e trasferibile in vari contesti, grazie al basso input tecnologico ed al suo costo ridotto. Come gli altri progetti sviluppati da Bloom, anche questo deve sottostare a regole ben precise: essere open source, essere sviluppato con materiale 100% locale e con personale 100% locale. Questo consente di agire su tre aspetti fondamentali: la crescita economica, la sostenibilità ambientale e l’inclusione sociale. Oltre ad incentivare il mercato locale con l’utilizzo di materiale a km zero, la coltura idroponica riesce ad utilizzare dieci volte meno di risorse idriche e produrre per dieci volte di più, raddoppiando i cicli di coltivazione. Allo stesso tempo, usando le risorse locali, permette di ridurre la CO2 prodotta dall’importazione di nuove tecnologie. Infine, lavorando fuori terra, Agritube consente l’inclusione dei disabili nelle attività agricole.
E’ questo, secondo Lorenzo, l’approccio sistemico necessario per parlare di sostenibilità e quindi di futuro.
Per lui, Manifattura Tabacchi rappresenta il motore di una rigenerazione urbana in grado di coniugare diverse persone, professionalità, eventi e contesti all’interno di una archeologia industriale rivalutata.
Guarda il video
Many Possible Cities si conclude con una tavola rotonda, dove gli esiti della giornata, dei quattro workshop e le esperienze di Luca, Karishma, Jorick e Lorenzo sono messe a confronto, grazie ai contributi di Andrea Cattabriga, del professor Ezio Manzini e di Giacomo Biraghi, nella veste di moderatore.
Andrea racconta l’esperienza tutta italiana di Slowd, la piattaforma web che ha creato per connettere i product designers con le piccole aziende manifatturiere che non hanno la possibilità di avere un centro di ricerca e sviluppo interno. Un disegno di arredamento, una volta selezionato dalla piattaforma e licenziato open-source, può essere prodotto da diverse manifatture locali. Con questa formula Slowd è riuscita a portare anche i piccoli produttori ad Expo 2015.
Andrea, che si definisce un designer strategico, con la sua organizzazione favorisce la costruzione di filiere collaborative, strumenti per aiutare le aziende tradizionali ad agganciare l’innovazione tecnologica e viceversa. É il caso della multinazionale Leroy Merlin che chiede loro un aiuto per radicarsi nei territori, facendo realizzare ai produttori locali alcuni dei suoi articoli vicino al punto vendita. Come dice Andrea, Slowd aiuta «chi si sente piccolo di fronte all’innovazione».
Rispondendo ad una provocazione di Biraghi sul rischio che la manifattura urbana diventi una delle tante “buzzword” che popolano la discussione sulla città, Andrea punta il dito contro la sovrastruttura economica, denunciando le difficoltà del mondo della produzione: «o usciamo dal paradigma capitalistico, integrando forme di scambio di valore diverse dal denaro, o non riusciremo a permetterci la produzione, anche se urbana, anche se pulita e in piccola scala, perché le cose costano troppo».
Per spiegare la sua missione, Andrea paragona l’innovazione, appannaggio delle realtà più grandi, a Golia, e le piccole imprese a David.
Guarda il video
Ezio Manzini – Honorary Professor al Politecnico di Milano e fondatore di DESIS, un network internazionale su design per l’innovazione sociale e per la sostenibilità – coglie la palla al balzo della metafora lanciata da Cattabriga, richiamando l’attenzione sul conflitto: un tema sempre presente quando si discute sulle molte città possibili. Per muoversi in questa “molteplicità di possibilità” bisogna «conoscere i Golia, sperando in un esercito di David».
Il confronto per lui si snoda tra desertificazione e complessità ecosistemica, tra città, cioè, che perdono questo carattere di complessità e molteplicità che hanno sempre avuto, per diventare un insieme di aree omogenee, definite da monoculture (la città dei turisti, quella dei ricchi, quella dei poverissimi, ecc…) e città che lottano per mantenere il loro carattere ecosistemico.
Queste ultime sono basate sui valori che moltiplicano le possibilità di incontro tra i gruppi che abitano la città, che moltiplicano le attività e le conversazioni possibili. Sono le città dell’innovazione sociale dove soprattutto dal basso, ma anche da parte di alcune istituzioni illuminate, si cerca di mettere in moto questa ricchezza ecosistemica.
Guarda il video
Biraghi conclude la tavola rotonda affidando a ciascun relatore un’ultima riflessione sulle parole: velocità, potere, confini, spazio e denaro.
Velocità di sviluppo con cui le città si stanno muovendo. La conoscenza, secondo Jorick, condivisa e redistribuita permetterà alle città di essere inclusive e di ri-allineare queste velocità.
Il potere che Karishma vuole mettere in discussione per far spazio a chi può portare la creatività nelle città, coinvolgendo nel dialogo sempre più persone e sempre più diverse.
I confini che per Lorenzo possono essere abbattuti investendo sul capitale umano.
Andrea trasforma il denaro, la sua parola, in valore, capovolgendo il paradigma alla base del nostro modello di sviluppo.
E infine, lo spazio che il professor Manzini vuol far diventare luogo con la sola ricetta che conosce: coinvolgere la comunità nel processo di ricerca e attribuzione di significato.