La filiera locale del luppolo | God is Geen talk&tasting
Con Antonio Massa, co-founder Birrificio Valdarno Superiore, e dott. Cosimo Taiti ricercatore Università di Firenze
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Un ingrediente di cui si parla tanto ma di cui si sa poco: il luppolo. In questo talk di God is Green festival si è parlato della sua filiera con un mastro birraio e un ricercatore dell’Università di Firenze, tra sostenibilità e ricerca.
Il luppolo, Humulus lupulus L. è una pianta appartenente alla famiglia delle Cannabaceae, quindi una cugina della prestigiosa Cannabis e come tale ha proprietà rilassanti e benefiche per il sistema nervoso.
È una pianta rampicante rustica e forte, che ama l’acqua. In natura si trova vicino a corsi d’acqua, spesso intorno ad alti tralicci come quelli della luce. La parte nobile, cioè quella utilizzata, è il fiore femminile che oltre ad aromatizzare la birra viene usato in ambito medico e terapeutico per le sue proprietà calmanti, antimicrobiche e antisettiche.
Il sodalizio tra luppolo e birra è nato grazie a una suora vissuta nella prima parte del medioevo. Cercando qualcosa che equilibrasse il sapore dolciastro del malto d’orzo usato per preparare la birra, dopo molti tentativi con aromi e spezie, ha scoperto questo prezioso abbinamento. Ogni località aveva il suo luppolo autoctono e questo conferiva sapori molto diversi alle varie birre. Con l’impatto delle multinazionali i luppoli utilizzati si sono ridotti a pochi e omologati su tutti i territori, provocando una perdita di differenziazione sia delle colture che del prodotto finito.
Negli ultimi anni si è assistito a un ‘risorgimento birraio’, partito dagli Stati Uniti, dove si sono riscoperti luppoli e malti pregiati e sono rinati i birrifici artigianali.
Birrificio Valdarno Superiore in collaborazione con l’Università di Firenze sta portando avanti una ricerca sui luppoli autoctoni italiani e regionali per poter arrivare produrre una birra legata al territorio del Valdarno fatta solo con prodotti locali.
Questa ricerca sui luppoli va avanti da circa 5 anni. Inizialmente sono stati importati nel Valdarno luppoli pregiati da Inghilterra e America, per vedere in che modo si modificavano una volta impiantati nel nuovo terreno. In una seconda fase è stata fatta una ricerca sul territorio italiano insieme alle associazioni di categoria. Sono state reperite diverse varietà di luppolo da tutte le regioni. Anche se non tutti saranno adatti ad aromatizzare la birra, la loro ampia varietà genetica fa ben sperare che tra questi ve ne sia uno in grado di tipicizzare il prodotto finale.
“Quando viaggi e ti chiedi quale è la birra migliore, la risposta è: quella del territorio in cui sei e che lo valorizza usando materie prime autoctone e aiutando l’economia locale. Inoltre la collaborazione tra produttori contribuisce alla creazione di un’economia circolare.”
Antonio Massa
Ci vorranno un paio di anni di adattamento al terreno prima che i luppoli trovino il loro equilibrio e mantengono il sapore di anno in anno, il processo di selezione richiede pazienza.
Le coltivazioni di luppolo hanno un impatto benefico per l’ambiente perché il loro periodo vegetativo è molto lungo e di conseguenza assorbono molta anidride carbonica.
Il processo di produzione della birra crea una grossa massa vegetale di scarto, visto il suo alto contenuto di antiossidanti, azoto e potassio — e per non creare rifiuti — BVS e l’Università di Firenze stanno sperimentando l’utilizzo di questo scarto come ammendante per gli impianti di coltivazione o per le colture di fiori.