If I woke up one day / Dori Deng
IF I WOKE UP ONE DAY
Elaborazioni spaziali da un altro mondo.
Cosa succederebbe se il mondo un giorno si svegliasse in un luogo diverso da quello abituale?
If I woke up one day è uno spazio di fantasia, all’interno del programma Living Room, nel quale il tempo, lo spazio, le relazioni umane, la natura hanno mutato forma e il virtuale è diventato reale.
Un artista alla settimana immagina cosa accade oltre la parete, sperimentando liberamente lo spazio e come questo si rapporta al limite in un universo distopico.
LIVING ROOM
5 Imaginative Acts – An Unreal Proposal
Il tempo passato, il tempo presente e il tempo futuro. La solitudine intensa dell’attuale isolamento ha avuto un impatto forte sulla capacità di espandersi sia dei nostri ricordi del passato che l’immaginazione del futuro. Come possiamo accoglierli o attivarli adesso che non abbiamo accesso a collegamenti fisici?
Partendo dagli spazi vuoti di Manifattura Tabacchi, creerò 5 atti immaginativi, uno al giorno per la durata di una settimana, dando vita alla rappresentazione di gesti e pensieri site-specific per questo luogo in cui non sono mai stata fisicamente.
Atto 1 – Dividere lo spazio in verticale, seguendo il ritmo delle colonne.
Disegno su carta da lucido bianca e colorata.
Atto 2 – Dividere lo spazio in orizzontale, con sfere all’altezza della testa.
Disegno su carta da lucido bianca e colorata.
Atto 3 – Come si può dividere un cerchio all’interno di un quadrato?
Disegno su carta da lucido bianca e colorata.
Disegno e ritagli su carta da lucido colorata.
Atto 4 – Come si può non camminare in linea retta, in uno spazio lungo e rettangolare?
Disegno su carta da lucido bianca e colorata.
Atto 5 – Scombinare il pre-esistente ritmo delle colonne, il rettangolo attraverso i rettangoli, Nessun ritmo è il nuovo ritmo.
Disegno e ritagli su carta da lucido colorata.
conversation pieces
Dori Deng & Edoardo Monti
Dialogo via e-mail durante il lockdown in Italia e nel Regno Unito, dal 24 al 30 Aprile
DD:
Prima di tutto, grazie Edo per aver accettato di condividere questa chiacchierata da lockdown con me.
Come stanno andando le cose a Palazzo Monti e con il calendario di residenza per artisti? Ovviamente, le residenze saranno state sospese durante il COVID-19. L’atmosfera dello spazio adesso deve essere veramente diversa rispetto al ricco programma degli ultimi tre anni che ha visto nel palazzo un ricircolo costante di attività e mostre di artisti. Trovi che l’attuale quiete, o lo spazio architettonico svuotato possa essere in qualche modo una fonte di ispirazione?
Lo spazio fisico ha sempre avuto una grande importanza per me, ma lo ha più che mai in questo momento di stasi. Personalmente, percepisco in maniera più consapevole l’interazione tra architettura e paesaggio. Ogni spazio fisico all’aperto sembra più “concentrato”, carico del tempo limitato di esperienza. In questi giorni ho sicuramente notato più dettagli sullo spazio rispetto a prima. E tu?
EM:
Grazie ancora per esserti rimessa in contatto con me quasi tre anni dopo essere venuta a Palazzo Monti e per questa opportunità. Fino ad ora, le cose stanno andand abbastanza bene. Abbiamo avuto la possibilità di rallentare un po’ e concentrarci su progetti a lungo termine (creazione di un archivio che possa includere tutti i dettagli e i portfolio degli oltre 150 artisti che finora abbiamo accolto nella nostra residenza), manutenzione, pulizia, riparazione, riorganizzare i nostri spazi e infine allestire: abbiamo esposto tutte le opere che avevamo in magazzino, perché il nostro obiettivo è di non avere opere in archivio e allestirle tutte permanentemente in tutto il Palazzo.
Purtroppo abbiamo avuto alcune cancellazioni di artisti internazionali (che costituiscono il 95% degli artisti che accogliamo e sosteniamo) per i prossimi mesi, ma ci siamo messi subito al lavoro per risolvere la questione e a partire da giugno, quando ci sarà permesso di spostarci più liberamente in tutta Italia, ospiteremo Artisti italiani. Dio solo sa quando gli aerei torneranno a volare e piuttosto che chiudere volevamo continuare a sostenere gli artisti, quindi ci stiamo concentrando di più sulle mostre che possono effettivamente viaggiare. Credo che la calma che adesso vige in città e nel palazzo abbia sicuramente creato un’atmosfera più tranquilla e pacata per gli artisti in cui lavorare. Ma non dimentichiamo che questi tempi sono estremamente stressanti per tutti noi e che gli artisti sono tra le persone più sensibili nel mondo. Ripeto quello che costantemente dico agli artisti di cui sono amico, dico loro di non stressarsi troppo nel dover essere iperproduttivi o creare opere che siano migliori del solito. Stiamo tutti attraversando un momento difficile ed è OK sentirsi tristi e stressati e non voler creare nulla per un po’. Gli artisti reagiscono sempre in qualche modo a ciò che succede a livello sociale, ma in situazioni senza precedenti come questa credo sia più che OK avere reazioni senza precedenti.
Alla fine, siamo super fortunati ad avere 3 piani e un piccolo cortile nel quale possiamo muoverci più liberamente. Mi sento profondamente triste quando penso ai milioni di persone confinate in piccoli appartamenti, quindi io e i residenti siamo davvero privilegiati ad avere così tanto spazio a disposizione. E di sicuro, dovremmo tutti rivedere il diritto di avere abbastanza spazio in cui vivere felici ma … ad essere sincero con te, non credo che ciò accadrà mai su grande scala.
Oddio, ci sarebbero tante altre cose di cui parlare, ma spero che questi miei primi pensieri ti abbiano aperto una sorta di spiraglio sulla mia vita. E tu? Come te la passi? Sei in grado di accedere al tuo studio? Come ti senti per il futuro, Il tuo, della tua pratica, della nostra società? Cosa cambieresti, se non altro, del mondo dell’arte di “prima”?
DD:
È così bello avere notizie di te e del Palazzo! Sono cambiate molte cose in questi tre anni passati dalla mia residenza d’artista, e molto altro è cambiato negli ultimi tre mesi!
Non potrei essere più d’accordo con quello che hai accennato sul fatto che gli artisti sono le persone più sensibili nel reagire alla crisi. Penso che l’arte perlopiù consista nel fare e farsi domande. Le buone opere d’arte hanno sempre il potere di provocare qualcosa di nuovo o mettere in discussione la nostra esistenza percettiva. L’artista inoltre si interroga costantemente durante la sua pratica, si interroga sull’ambiente circostante. Al momento, le nostre domande si stanno espandendo su molti fronti: come è strutturata l’industria, i modi di comunicare e sperimentare, l’umanità stessa … La maggior parte di noi è confusa e stressata, perché queste domande sono più complicate e più grandi di ciò che solitamente riusciamo a gestire. Come hai detto tu stesso, probabilmente la maggior parte di noi al momento si sta chiudendo in uno spazio ristretto. Quindi l’ironia è che ci poniamo e stordiamo su queste grandi domande all’interno di uno spazio angusto, e questo corrisponde alla vita attuale di molti. E come risponderemo a questi grandi quesiti?
Per quanto mi riguarda, ho riflettuto molto sul modo in cui solitamente lavoro su progetti site specific. Non è solo una questione pragmatica in cui mi chiedo come farò a viaggiare, visitare l’architettura interessata e lavorarci su; mi faccio molte più domande sugli aspetti psicologici legati alla nostra connessione con l’architettura o il paesaggio. Gran parte della nostra memoria è contenuta nei luoghi fisici, soprattutto in questo particolare periodo in cui non possiamo viaggiare (nemmeno per fare un salto al ristorante!) la memoria sembra esser diventata ancora più intensa e reale. Spero che questa riflessione alla fine stia avendo degli effetti interessanti sulla mia pratica artistica e su di me, specialmente ora che abbiamo il tempo e lo spazio per interrogarci in profondità. Fortunatamente, al momento a casa ho un intero piano tutto per me per lavorare e penso che in futuro questo diventerà anche una parte interessante dei miei ricordi.
Allo stesso modo, trovo che anche l’intento di archiviare le opere al palazzo sia un’azione basata sulla gestione della memoria. L’archivio è un interessante atto di raccolta di tracce, è un ridare ordine al passato. Cosa speri di ottenere dal sistema di archiviazione? La residenza degli artisti ha così tanto a che fare con il presente, il che rende l’archiviazione delle attività degli artisti attuali ancora più interessante! Questo sta diventando parte della tua pratica di mecenate, collezionista o archivista! Come ti vedi all’interno di questo processo?
EM:
È difficile rispondere alla tua prima domanda perché:
a) Viviamo tempi così inediti che richiedono un sostegno senza precedenti (anche psicologico) da parte dei nostri governi. Penso che siano troppo alle prese con il sistema sanitario per potersi concentrare sulla salute mentale, che fa profondamente parte di questo problema ma purtroppo non è ancora vista come un’emergenza. Molti psicologi e psichiatri stanno condividendo le loro conoscenze e si stanno rendendo disponibili per supportare, gratuitamente, coloro che stanno soffrendo di più e questo è fantastico!
b) Le persone sono diverse e tutti reagiamo alla pressione in modo diverso. Vorrei poter ideare un’unica soluzione che funzioni per tutti!
c) Gli spazi, pur essendo piccoli, sono diversi e solo chi li abita li conosce davvero. Ciò che intendo dire è che forse tutte queste limitazioni potrebbero esser trasformate in un’opportunità per creare un nuovo corpus di lavoro o esplorare nuovi mezzi, ma capisco la difficoltà di dover affrontare diversi spazi, luci e superfici su cui lavorare e con cui lavorare.
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Abbiamo avuto il privilegio di poter trascorrere questi 2 mesi di quarantena in uno spazio piuttosto ampio. Inoltre, abbiamo fatto tante cose per migliorare lo spazio, in vista dei nostri futuri residenti. L’archivio avrà innanzitutto un forte impatto visivo per i visitatori, che potranno così farsi un’idea di quanti artisti sono stati accolti e supportati nel corso degli anni. Ulteriormente, sarà utile per noi avere un rapido accesso ai loro lavori, in modo da poterli presentare ai visitatori in un modo migliore rispetto a semplicemente mostrare un PDF o i loro account Instagram. Mi è sempre piaciuta l’idea di un archivio tangibile, vecchio stile.
Penso che il mio ruolo sia in continua evoluzione, pur tenendo sempre ben in mente ciò che ero “prima”. La vedo come una crescita piuttosto che un cambiamento totale. Quando le persone mi chiedono cosa faccio, non posso dare una risposta sintetica. Sì, potresti dire che sostengo i giovani artisti, ma ci sono così tanti “ruoli” interpretati all’interno di questa definizione onnicomprensiva.
Spero che tutto quello che ti sto raccontando abbia un senso!
Dal tuo punto di vista, di tutte le cose che appartenevano al mondo dell’arte pre-Corona, quali sono quelle che dovrebbero essere cambiate nel mondo post-Corona? In aggiunta alla tua situazione di confinamento più personale, questa situazione mondiale ha influenzato il modo in cui vedi lo spazio – privato e pubblico?
DD:
Nei giorni della normalità, ognuno aveva responsabilità diverse e rivestiva diversi ruoli in molti settori. Adesso, durante il lockdown, molti di noi hanno temporaneamente sospeso responsabilità e ruoli soliti, e in più siamo fisicamente confinati in un unico luogo. Sicuramente penso che sia cambiato il modo in cui vediamo le cose, digeriamo diversamente anche le informazioni. Cose alle quali non abbiamo mai prestato attenzione o che non avevamo avuto il tempo di approfondire prima; le cose che ritenevamo irrilevanti nella precedente vita “normale” sono ora ben presenti tra i nostri pensieri. Come quello che dicevi sulla consapevolezza sulla salute mentale, che è sempre così importante per noi. Allo stesso modo, le persone sono anche molto più attente alle violenze domestiche. In un certo senso, credo che eventi estremi ci spingano ad affrontare i problemi correttamente e ad apportare modifiche. Trovo interessante che l’essere “intrappolati” fisicamente in un luogo ci faccia avere una visione più ampia dove cerchiamo di trovare una soluzione migliore.
Di recente ho letto della teoria del “Metodo di rotazione” di Soren Kierkegaard che parla della restrizione applicata alla coltivazione. In un certo senso, si applica a noi in questo momento storico: “Più una persona si limita, più intraprendente diventa. Un prigioniero solitario per la vita è estremamente intraprendente; per lui anche un ragno può essere fonte di grande divertimento”.
Mi sembrava una cosa interessante da condividere! 🙂
Sono sicura che stiamo tutti vedendo, o anche partecipando a molte forme digitali di attività di arte virtuale. Gran parte dei musei e tour delle sale virtuali sono comparsi molto tempo fa, ma solo ora siamo spinti a sperimentarli a fondo. Come molte altre industrie, il coronavirus filtrerà molte attività del passato e ci spingerà verso un nuovo modo. Tuttavia, non credo che questo significhi che la maggior parte delle attività artistiche si convertirà alla forma virtuale. Al contrario, la prossima volta che creeremo una vera esperienza di arte fisica ne avremo una considerazione diversa e sperimenteremo in maniera differente. Come è successo 10 anni fa con l’invenzione dell’e-book, quando molte persone pensavano che avrebbe significato la fine dell’edizione stampata. In realtà, ha contribuito a limitare i grandi sprechi e ora stiamo mettendo molto più impegno nella progettazione di libri stampati. Sicuramente saremo molto più attenti al vero significato dello spazio fisico di una galleria o di uno spazio artistico; ma soprattutto realizzeremo opere d’arte o mostre che tengano maggiormente conto della fisicità e della materialità delle stesse.
Come hai detto rispetto al tuo ruolo e al palazzo, probabilmente prima non esisteva un’unica identità definita, ora stai impiegando il tempo e lo spazio per consentire che diventi un qualcosa di più complesso. Per quanto riguarda la collezione tangibile di archivi che stai creando all’interno del palazzo, penso che come punto di partenza potresti semplicemente iniziare con quello che più ti è piaciuto, potrebbe esserci qualcosa di più profondamente inconscio nel modo in cui hai considerato lo spazio del palazzo? Questa non è una domanda, è solo una mia assunzione. Non importa “che cos’è” o “come è”, a patto che abbiamo bene in mente le risposte nel nostro intimo…
EM:
Davvero un ottimo contributo: adoro ciò che hai detto sull’e-book, non ci avevo mai fatto caso che la qualità dei contenuti stampati è ora più elevata che mai.
Sì, per quanto riguarda l’archivio, penso che non dimenticheremo mai il valore dei documenti stampati e della corrispondenza. Ti immagini se le nostre caselle di posta virtuale venissero definite archivi? Sarebbe uno scherzo. Adoro le copie cartacee e vorrei che ci fosse una sorta di Archivio degli Archivi costruito da qualche parte, un giorno. Naturalmente dovrebbe essere digitale, per renderlo accessibile a chiunque nel mondo, ma anche fisico sarebbe molto divertente.
E sono d’accordo che questa crisi non cambierà ciò che abbiamo fatto prima, semplicemente come. Guarderemo ancora l’arte nella vita reale, ma meno, per scelta (saremo più selettivi di prima su come passiamo il nostro tempo) e a causa di decisioni esterne (viaggiare da ora in poi sarà molto molto più difficile per mesi, forse anni a venire). È un peccato però pensare ai tanti spazi, privati e pubblici, commerciali e no profit, che non riapriranno a causa di questa situazione.
Hai qualche progetto imminente a cui stai lavorando? O qualche mostra che è stata rimandata?
DD:
Anche a me piacciono le copie fisiche di libri, fotografie e persino giornali! Anche l’archiviazione mi sta molto a cuore, poiché tutta la mia pratica ruota intorno alla creazione di un sistema di archiviazione per tutte le forme di sperimentazione. “Archive of Archives” è un titolo eccellente per una mostra, penso che ti toccherà organizzarla, lol!
Penso che tu abbia ragione su come saranno i prossimi anni sottoposti alla restrizione di viaggio. Sicuramente ci concentreremo più sugli ambienti vicini che su quelli lontani, ma questo può essere positivo per tutti noi. Spero che questo significhi che hai più tempo a disposizione per Palazzo Monti e per nuove idee su come sviluppare l’archivio. Terrò sempre le orecchie aperte per notizie dal palazzo!
Da parte mia, sto lavorando allo sviluppo di un progetto con Manifattura Tabacchi in questo momento. Siamo partiti da alcuni atti fantasiosi, gesti di pensieri sotto forma di disegno, e vedremo presto se questi semi di idee potranno crescere e svilupparsi in modo tangibile nel loro spazio a Firenze! Hanno un fantastico complesso industriale con cui lavorare. Sto anche collaborando con un artista della lingua, con cui sto lentamente mettendo su uno spettacolo di performance dal vivo, e c’era anche in ponte una mostra collettiva a Londra. Erano tutti programmati per la fine dell’anno ma non sono sicura di come andranno le cose adesso … Non ci resta che vivere un giorno alla volta in questo periodo, vero?!
È stato così divertente parlarti via e-mail! Sento che potremmo andare avanti per ancora molto tempo. haha …
Dori Deng
(1985)
Dori Deng è un’artista britannico-cinese che vive e lavora a Londra. Da quando ha finito gli studi in Fine Art presso la Central Saint Martins nel 2009, Deng ha sviluppato la sua pratica artistica sperimentando con l’utilizzo della luce proiettata. L’artista utilizza una metodologia compositiva riadattata dalla coreografia contemporanea e dalle partiture di musica classica sperimentale degli anni 60/70 per creare un linguaggio unico, un arrangiamento di luce e spazio architettonico.
La sua più recente serie di installazioni luminose Termination Series (2015 – oggi) è stata commissionata per spazi architettonici di rilievo in Italia (Palazzo Galli Tassi, 2018), Beijing (Glass House, C H A O, 2018) e Londra (Roz Barr Architects, 2016).
L’uso esteso della luce da parte di Deng si rispecchia anche nelle sue collaborazioni con realtà legate alla musica classica contemporanea. La sua comprensione profonda della luce come mezzo durazionale ha dato il via a sodalizi con personaggi di punta della scena sperimentale odierna, tra cui il rinomato compositore Britannico Laurence Crane, Mica Levi e il violoncellista Oliver Coates.
sito web
«La luce ha una struttura fisica e una durata. Per visualizzare queste proprietà traccio organicamente le connessioni della luce con gli spazi architettonici. Nella mia pratica, la luce proiettata è il mio medium principale, presentata sotto forma di installazione site-specific durazionale. Scientificamente, utilizziamo la luce per misurare la distanza da un oggetto osservando le dimensioni dell’ombra che proietta per terra. La luce è uno strumento di misurazione in virtù delle sue proprietà fisiche primarie: direzione di propagazione e intensità. Diventa dunque un materiale strutturale, durazionale, utilizzato nel corso della storia per leggere lo spazio architettonico. In quanto fenomeno naturale, la luce viene perlopiù percepita come un’entità visiva statica che si sovrappone alle superfici (la luce visibile all’occhio umano). Sono affascinata dalle qualità fisiche meno visibili della luce, dalla sua struttura e dalla sua temporalità. Vedo la luce come un mezzo strutturale basato sullo scorrimento temporale che, viaggiando con la velocità, definisce uno spazio.
La luce diventa un catalizzatore di domande: sfida la nostra esperienza percettiva della proporzione e il ritmo visivo dello spazio fisico. »
Dori Deng