Domenico Bianchi | La meraviglia TALKS
Domenico Bianchi si presenta al pubblico di Manifattura e ripercorre a ritroso il suo lavoro insieme a Sergio Risaliti, che ha sua volta ne ha curato numerose esposizioni. Una carriera che tocca eventi, personaggi, movimenti che hanno fatto la storia dell’arte italiana, con mostre tra personali e collettive nei musei e nelle istituzioni più importanti a livello internazionale.
Una panchina con uno straccio appoggiato e dimenticato sopra di essa, il tutto fissato nel marmo grigio. Attraverso il disegno e lo straccio, Domenico Bianchi imprime una memoria di qualcosa che è successo, un istante che si ripercuote e che non è più passato, ma continuo presente.
Con quest’opera, presentata per la mostra SEMPER a Palazzo Medici Riccardi (2009), Domenico Bianchi “ha reso praticabile il quadro”, come commenta Sergio Risaliti. Il quadro scende sul piano terreno, perché ci si può sedere sopra, si può contemplare. Dopo l’Arte Povera e la Transavanguardia, il soggetto è ricollocato in una posizione di centralità. Si riporta il soggetto nella sua intimità. Il citazionismo del passato svuotava il soggetto di responsabilità, mentre la nuova generazione di artisti rappresentata da Domenico Bianchi riporta il soggetto al centro, in un’epoca in cui si sfaldano i confini geografici del soggetto. Qui ci si può sedere e osservare il capolavoro di un grande maestro del passato Bandinelli: l’Orfeo di Baccio Bandinelli.
La capacità di dialogare e inserirsi senza pretese in un contesto storico e classico e allo stesso tempo di gettarvi una prospettiva nuova è evidente nel lavoro di Domenico Bianchi.
A Palazzo Falconieri presso l’Accademia d’Ungheria di Roma è presente l’unico lavoro realizzato da Borromini in un interno. Per una personale realizzata nel 2000, l’artista appoggia il quadro al caminetto. Un disegno che prosegue naturalmente con le linee del
maestro barocco, dietro alle quali risiedono le scienze esoteriche, significati riposti, archetipi che possono essere letti attraverso una conoscenza dell’antroposofia. La stessa operazione è ben evidente nella collettiva Giganti, del 2001, presso i Fori Imperiali di
Roma. Stavolta Domenico Bianchi adagia dei fogli di ceramica smaltata in bianco sulle rovine romane, esempio elegante di convivenza tra arte contemporanea e storia.
Molte le collettive che hanno visto l’opera di Bianchi accanto ad altri maestri della storia dell’arte contemporanea italiana. Nel 1998 espone per l’inaugurazione del Palazzo delle Papesse, nel 1998, insieme a Jannis Kounellis, Mimmo Paladino, Eva Marisaldi, e una giovanissima, Lara Favaretto. A Viareggio, nel 2011, il lavoro di Bianchi è inserito in un ambiente inedito e inusuale: lo scheletro di una nave. Su questo yatch a motore di 64 metri, ancora in fase di realizzazione, ha trovato posto la mostra Nostalgia dell’Infinito, il cui riferimento è un celebre quadro di Giorgio de Chirico del 1912, scelto come orizzonte visivo per le opere di Marco Bagnoli, Domenico Bianchi e Remo Salvadori, tutti in qualche modo accomunati da una sensibilità “metafisica” e qui chiamati a confrontarsi con il tema dell’incommensurabilità del cosmo, dello spazio celeste e dell’universo subacqueo.
Altra collettiva di notevole rilievo e di recente data è YTALIA: Tutto è nulla, curata da Sergio Risaliti a Forte Belvedere a Firenze. La mostra raccoglie ed espone una retrospettiva delle undici panchine realizzate da Domenico Bianchi. L’esposizione colloca, indiscutibilmente, dodici delle più imponenti firme italiche della Storia dell’arte Contemporanea: insieme a Domenico Bianchi, Mario Merz, Giovanni Anselmo, Jannis Kounellis, Luciano Fabro, Alighiero Boetti (1940-1994), Giulio Paolini, Gino De Dominicis, Remo Salvadori, Mimmo Paladino, Marco Bagnoli, Nunzio.
Per la doppia personale con Mario Merz, avvenuta al Castello Svevo a Bari nel 2004, Domenico Bianchi produce una croce ribaltata, in omaggio alla croce di Mario Merz.Bianchi, come tanti artisti dall’arte povera in poi, si è inventato una sua iconografia. In queste opere esiste una contrapposizione tra due tipi di segno: uno verticale, organico e flessuoso, e uno orizzontale, che invece rimanda alla griglia digitale.
Difficile quindi inquadrare il lavoro di Domenico Bianchi entro limiti preordinati, ma rileggerlo a posteriori offre inevitabilmente uno spaccato di vita dell’arte e degli artisti che hanno influenzato e costruito un pezzo di storia, i cui riverberi ancora risuonano nei tempi attuali.
L'incontro con gli artisti in residenza