Alberto Garutti | La meraviglia TALKS
Per l’ottavo appuntamento del ciclo La meraviglia TALKS, Alberto Garutti, insieme a Sergio Risaliti, ripercorre il proprio lavoro, a partire dai più recenti fino ai primissimi. Citazioni e riferimenti intellettuali hanno accompagnato l’intero dialogo, trasformandolo in una rassegna colta e raffinata della storia dell’arte, dal Rinascimento ai giorni nostri.
Artista nella vita, architetto di formazione, Garutti ha trovato, soprattutto a partire dagli anni 90, un modus operandi tutto particolare, facendo da spartiacque per ciò che oggi è riconosciuta come ‘arte pubblica’. Il punto di svolta risale al 1994: Garutti riceve la sua prima committenza pubblica da parte del Comune di Peccioli (PI) e realizza la ristrutturazione filologica di un suo piccolo teatro, luogo caro alla comunità, ma allora in stato di abbandono. Su una lastra di pietra, installata all’ingresso del teatro, è incisa la frase: “Dedicato ai ragazzi e alle ragazze che in questo piccolo teatro si innamorarono.” L’intervento è seminale del metodo che ha connotato tutte le sue successive opere nello spazio della città. Lo spettatore della città, come ricorda Garutti, non è lo spettatore del museo. In questo senso l’incontro con i veri destinatari dell’opera, che si scontrano casualmente con essa, e quindi i cittadini, è irrinunciabile e prioritario per l’artista, che li accompagna per la mano apponendo a ogni suo intervento una didascalia, che lo aiuta a comprendere non tanto l’arte, quanto l’operazione che si cela dietro.
Si parla del rapporto tra l’artista e la committenza, un rapporto che esiste da sempre, dai tempi dei papi e dei principi, i grandi committenti della storia dell’arte. Una relazione i cui limiti e confini per Garutti innescano tutta una serie di opportunità per l’artista, tra le quali il decentramento del proprio sguardo e il suo innalzamento e il contestuale abbandono di quell’autoreferenzialità ed egocentrismo che il sistema dell’arte contemporanea difende. Ricordando la lettera di ‘assunzione’ che Leonardo Da Vinci presentò a Ludovico Il Moro, Garutti e Risaliti riflettono sulla poliedricità dell’artista nel passato, che era architetto, inventore, ingegnere, scienziato. D’altronde, quando l’interesse non è quello di fare l’artista, quanto di vivere artisticamente, allora l’artista ha un fuoco dentro che gli permette di fare ogni cosa, perché il suo approccio alla vita è un approccio di risoluzione dei problemi, che in tal senso, non trova barriere. Fare arte non è altro che aderire alla realtà.
“Torna ad essere importante questo. – afferma Alberto Garutti – Abbiamo vissuto una lunga fase nell’arte dove l’artista era committente di se stesso – espressionismo libero – e si proponeva con le sue prestazioni. La committenza porta il discorso sull’arte pubblica. Il rapporto con il privato o con l’amministrazione pubblica riporta il protagonismo dell’artista nella vita quotidiana e nella vita sociale. Si prende carico assieme al committente delle questioni più urgenti, per un ambiente cittadino, di lavoro, comunità locale.”